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25 dicembre 2010 6 25 /12 /dicembre /2010 11:29

 

 

 

 

 

 

 

Vasi-da-Farmacia---Maiolica--0013.jpg

 

 

 

Vaso da farmacia a tronchetto

Siena, secolo XVI

In alto reca uniscrizione. La parte centrale è decorata a grottesche.

Interessanti i toni di fondo in blu cobalto.

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24 dicembre 2010 5 24 /12 /dicembre /2010 21:13

 

Vasi-da-Farmacia---Maiolica--0011.jpgUrbino, prima metà del XVI secolo

Vaso ad alberello

Raffigurante la scena biblica di Giuditta ed Oloferne.

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22 dicembre 2010 3 22 /12 /dicembre /2010 09:00

 

 

 

 

Vasi-da-Farmacia---Maiolica--0009.jpg

Pesaro, XVII secolo.

 

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15 dicembre 2010 3 15 /12 /dicembre /2010 09:00

 

 

 

 

 

Vasi-da-Farmacia---Maiolica--0005.jpg

URBINO, XVI secolo.

 

Vaso farmaceutico con putto e sullo sfondo veduta della città.

 

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10 dicembre 2010 5 10 /12 /dicembre /2010 09:00

 

 

 

 

 

Vasi-da-Farmacia---Maiolica--0003.jpg

 

Castedurante, datato 1579

Vaso farmaceutico raffigurante la nascita di Venere.

 

 

 

 

 

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8 dicembre 2010 3 08 /12 /dicembre /2010 13:00

 

 

 

Vasi-da-Farmacia---Maiolica--0001.jpg

 

 

 

URBINO, XVI secolo

 

Vaso farmaceutico a foggia d'anfora.

 

 

 

 

 

 

 

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5 dicembre 2010 7 05 /12 /dicembre /2010 19:32

Ritratti di medici antichi su vasi di farmacia


di Rudolf E. A. Drey 

 

Tra le maioliche e porcellane che offrono dell'interesse dal punto di vista iconografico quanto per l'aspetto artistico, si trovano dei vasi da farmacia decorati con ritratti di personaggi illustri e manufatti in diverse regioni d'Italia e di Francia a partire dal secondo quarto del XVI secolo.

In Italia, i personaggi rappresentati su questi vasi furono soprattutto dei notabili dell'antichità e del medioevo e dei personaggi della letteratura e della mitologia, come Omero [1], Alessandro Magno [2], Marco Curzio [3], Marco Antonio, il conquistatore dell'Egitto conquistato da Cleopatra [4], Lancillotto, il cavaliere della Tavola Rotonda di Re Artù [5], la profetessa Cassandra [6], i quattro personaggi dell'Orlando furioso dell'Ariosto, Ruggero [7], Agramante [8] e Rodomonte [9]. dobbiamo anche far menzione di un importante gruppo di vasi d'officina con ritratti di santi, soggetti di una memoria della signora A. Lothian Short [10]. In Francia, dei papi, dei re, dei santi furono rappresentati sui magnifici albarelli, vasi a piedistallo e brocchette creati durante il periodo 1570-1620 da Antoine Syjalon a Nîmes, da Pierre e Jean Estève a Montpellier e da latri ancora [11].  

 

drey--1.jpeg

Figura 1. Albarello con presunto ritratto di Galeno

Maiolica di Faenza o di Sicilia, seconda metà del XVI secolo, Londra, Pharmaceutical Society of Great Britain.


 

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Figura 2. Vaso con effige di Galeno

porcellana di Parigi, XIX secolo, Londra, Pharmaceutical Society of Great Britain.

 

 

 

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Figura 3. Albarello con effigie di Avicenna

Maiolica probabilmente di Sicilia ultimo quarto del XVI secolo Bologna, Museo civico.

 

 

 

 

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Figura 4. Albarello con l'effigie di Mesuè

Maiolica di Sicilia, 1600 circa, Paesi Bassi, Coll. Frederiks

 

 

Tra i personaggi che decorano i vasi di farmacia figurano anche medici celebri. È un punto su cui nessun lavoro sembra essere stato sino ad ora dedicato.

I due grandi medici dell'antichità Ippocrate e Galeno si incontrano su recipienti di date diverse. La Pharmaceutical Society di Londra, possiede un grande albarello italiano della seconda metà del XVI secolo dipinto in blu, giallo, bruno, manganese-violetto e verde con delle “foglie gotiche” ed il ritratto di un uomo barbuto indossante un turbante [figura 1]. Benché questo personaggio non sia identificato da una didascalia, il nome della droga stomaticù galeni, ci permette di supporre che il personaggio rappresentato sia Galeno. Nella stessa collezione si trova un vaso coperto di forma cilindrica, di porcellana, datata al XIX secolo, colorato d'oro, rosso e lillà pallido con un busto d'uomo incorniciato da serpenti, di ancore e da un caduceo con due ali. Il nome, questa volta, è precisato: Galeno (figura 2). Due vasi della stessa serie con busti designati come Galeno e Ippocrate, conservati in una collezione privata, sono riprodotti in un'opera di Thomann [12]; le iscrizioni per i prodotti sono MANNEen LARM: e POM:CAMPH: (pomata canforata).

Due medici illustri del mondo arabo, Avicenna e Mesuè, figurano su molti vasi (figure 3, 4 e 5). Il turbante di Avicenna sull'albarello che reca l'iscrizione loch de pino e quello di Mesuè sono trattati in modo un po' fantasioso, sormontati come sono da una protuberanza di forma cilindrica. L'albarello con l'effigie di Mesuè è di provenienza palermitana. A questo proposito, segnaliamo che nell'antica collezione Scalea, a Palermo, si trovava un albarello siciliano di forma e decorazione quasi identiche a quello della figura 4, ma recante l'effige di Giovanni Aloisio Garillo, aromatario rinomato di Palermo deceduto nel 1590 [13].

Esculapio (Asclepios), dio greco delle scienze mediche, è anch'egli rappresentato su alcuni va si da farmacia con i suoi propri emblemi. Su un vaso di Montpellier, regge il famoso “bastone di Esculapio” raffigurato fedelmente ed è accompagnato da un gallo [figura 6] [14], mentre su un albarello di Castelli il suo bastone possiede un aspetto singolare e sembra reggere il serpente con la mano sinistra! [figura 7].

 

drey--5.jpeg

 

Figura 5. Albarello con l'effigie di Avicenna,

Maiolica probabilmente di Faenza, Seconda metà del XVI secolo, Londra, collezione R.E.A. Drey

 

 

 

 

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Figura 6. Vaso per Teriaca con effigie di Esculapio

Maiolica di Montpellier, 1700 circa Sèvres, Museo nazionale di ceramica.

 

 

 

 

 

drey--7.jpeg

 

Figura 7. Albarello con effigie di Esculapio

Maiolica di Castelli, XVIII secolo Ecouen, Museo del Rinascimento.

 

 

 

Alla lista dei grandi medici del passato rappresentati sui vasi da farmacia evidenziata da questo studio mancano molti nomi. Forse qualche lettore ci fornirà degli esempi di recipienti con l'effigie di Dioscoride [15], di Rhazes, di Nicola di Salerno e di altri ancora.

 

 

NOTE

 

[1] Laura Campanile, I vasi di farmacia, Milano, 1973, tavola 34.

[2] J. Chompret, Répertoire de la majolique italienne, Parigi, 1949, vol. 2, figura 585.

[3] Jeanne Giacomotti, Catalogue des majoliques des musées nationaux, Parigi, 1974, n° 961.

[4] Bernard Rackham, Islamic Potery and Italian Maiolica: Illustrated Catalogue of a Private Collection, London, 1959, n° 303, tavola 132 A.

[5] Rackham, Op. cit., n° 305, tavola 132 B. Louis Cotinat, Les prestigieuses faïences pharmaceutiques de la vente Add, in: Revue d'Histoire de la Pharmacie, XVIII anno, 1966-1967, p. 474-475, n° 15.

[6] Giacomotti, Op. cit., n° 963.

[7] Giuseppe Morazzoni, La Maiolica Antica Veneta, Milano, 1955, tavola 41, Giacomotii, Op. cit.,nn. 960, 962.

[8] Luigi Zauli Naldi, Recenti acquisti al museo, in Faenza, XLII, 1956, p. 123-126, tavola LXIV, figura c.

[9] A. V. B. Norman, Wallace Collection, Catalogue of Ceramics, vol. 1, London, 1976, p. 121, 122.

[10] A. Lothian, Saints of Drug jars, in Chemist and Druggist, CLIX, 1953, p. 598-603; Helgener påapotekskrukker, in Archiv for Pharmaci og Chemi, LX, 1953, p. 1009-1020.

[11] J. Chompret, Les Faïences françaises primitives d'après les apothicaireries hospitalières, Paris, 1946, tavola 3, fig. A, fig. 123, 128, 131, 133, 144, 145, 148-151, 153, 154. Jean Thuile, Les pots de pharmacie à l'exposition de l'ancienne faïence de Monpelliers du Musée Fabre, in Revue d'Histoire de la Pharmacie, XVI, 1963, p. 129-132, 204-207, tavola XI, XII, XXIV.

[12] Hans E. Thomann, Die “Roche”- Apotheken-Fayencen-Sammlung, in Keramik-Freunde der Schweiz, n° 58-59, 1962, tavola 32.

[13] Antonio Ragona, La maiolica siciliana dalle origini all'Ottocento, Palermo, 1975, fig. 28 e pag. 61, 329.

[14] Ci si ricorderà che il sacrificio di un gallo ad Esculapio è evocato nelle ultime parole di Socrate al suo amico Critone.

 

[15] Nell'opera Les pots de pharmacies. Paris e l'Ile-de-France, Parigi, 1981, p. 196, gli autori H. P. Fourest e P. N. Sainte-Fare-Garnot, fanno menzione di vasi di officina del XIX secolo in porcellana dura con ritratti di Plinio e dioscoride.

 

 

LINK:

Portraits de médecin anciens sur des vases de pharmacie

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28 novembre 2010 7 28 /11 /novembre /2010 09:00

Il Cristo si è fermato a Eboli, di Carlo Levi

 

 

Una cronaca del paludismo e del suo trattamento nell’Italia meridionale.


Levi, 01

Carlo Levi, Autoritratto, 1945.

 

Molti scrittori e non dei minori furono anche medici. Tale è il caso in Francia di Rabelais, Eugene Sue, V. Ségalen, G. Duhamel, E. Faure e L.-F. Destouches (Céline) Tra gli autori stranieri si possono citare Schiller, Čechov, Smollett, Conan Doyle, Somerset Maugham e Carlo Levi, autore della celebre opera autobiografica Cristo si è fermato a Eboli, edito nel 1945.  

Prima di esaminare le incidenze mediche e farmaceutiche incontrate in questo capolavoro della letteratura italiana di questo secolo, dobbiamo richiamare un ricordo personale.

Nel marzo del 1964, in seguito al Congresso internazionale stendhaliano che si era tenuto a Civitavecchia, in cui Stendhal fu console di Francia durante la Monarchia di luglio, una lastra fu apposta sulla facciata dell’Albergo Minerva, A Roma menzionante che il celebre scrittore vi aveva fatto numerosi soggiorni. Come spesso è regola durante la primavera nella Città eterna, pioveva a dirotto ed è sotto una selva di ombrelli che si svolse questa breve cerimonia. Tra le personalità presenti si trovava un uomo di bella aspetto, dall’abbondante capigliatura e dal profilo di una medaglia, indossante uno strano berretto di lana a cui fui presentato dal presidente del nostro congresso, il professore Vittorio del Litto. Si trattava di Carlo Levi.

 

levi-libro-einaudi.pngPrima edizione del Romanzo, 1945


 

Conoscevo allora il suo nome e il suo libro, ma non l’avevo letto e non è che molto più tardi, dopo aver visto il superbo film che ne fu tratto da Francesco Rosi (1979), in cui l’eccellente attore Gian Maria Volonté recitava la parte di Carlo Levi, che lessi e rilessi la sua notevole opera nell’eccellente traduzione francese di Jeanne Modigliani [1]. La mia sorpresa fu all’altezza della mia ammirazione, perché scoprii allora che Carlo Levi era un medico.

 

levi--3.jpgLocandina del film Cristo si è fermato a Eboli del 1979 di Francesco Rosi tratto dal romanzo di Carlo Levi.

 

Nato a Torino il 29 novembre 1902, Carlo Levi vi terminò i suoi studi medici, dedicandosi in seguito alla politica (fondò il movimento antifascista “Giustizia e Libertà”) ed alla pittura, il che mostra la molteplicità dei suoi talenti. Sono le sue attività politiche che lo fecero assegnare alla residenza (confinato) nel 1935-36 nella remota provincia della Basilicata, prima a Grassano, poi a Aliano, chiamato Gagliano nel suo libro.


levi-I-Lucani-di-Gagliano.jpgCarlo Levi, I Lucani di Galiano.

 

La Basilicata (antica Lucania) è una delle regioni montagnose più selvagge d’Italia, costituita da blocchi calcarei e da bacini argillosi scavati dall’erosione. È anche una delle regioni più povere, perché l’agricoltura (cereali, uva, olive, agrumi) presenta uno dei rendimenti più deboli a causa dell’aridità del suolo. Per il suo sovrappopolamento, un grande numero dei suoi abitanti emigrarono all’inizio del secolo negli Stati Uniti e molte famiglie vivevano di sussidi inviati dai loro parenti d’America. Per si più, questa regione era molto malsana perché il paludismo imperversava sino alla fine dell’ultima guerra.

levi-bassorilievo-Grassano-copia-1.pngSul muro della strada principale di Grassano, un bassorilievo rappresenta l'arrivo di Carlo Levi a Grassano dove lo scrittore era stato assegnato a risiedere per motivi politici.

 

Il titolo dell’opera è spiegato sin dalla prima pagina: si tratta della frase pronunciata dai contadini che si consideravano totalmente abbandonati dal potere centrale di Roma. “Noi non siamo cristiani, il Cristo si è fermato a Eboli” località “in cui la strada ed il terno abbandonano la costa di Salerno ed il mare per spingersi nelle terre desolate della Lucania… Il Cristo non è arrivato qui, non più dei Romani, che non seguivano che le grandi strade e non penetravano tra i nostri monti e foreste, né i Greci, che prosperavano sul mare di Metaponto e di Sibari”.

Sin dal suo arrivo a Aliano. Carlo Levi fu posto a confronto con la grande miseria fisica e morale dei contadini che vivevano in condizioni igieniche molto precarie, perché spesso gli animali domestici condividevano il loro tetto.

Levi--Autoritratto-con-Paola--1937.jpgAutoritratto con Paola, 1937.


D’altra parte, il paludismo colpiva i bambini sin dalla più tenera età, provocando una mortalità notevole. È d’altronde l’Italia intera che pagava allora il suo tributo a questa malattia. Per l’insieme della penisola si registrava nel 1919 più di 300.000 casi di paludismo con 8400 morti, mentre nel 1945 su più di 400.000 casi, non si contavano che 386 decessi. Ciò è dovuto da una parte al prosciugamento delle zone paludosi in cui si sviluppavano le zanzare (anofele) che trasmettevano la malattia, da un’altra parte alla scoperta degli insetticidi di sintesi, di cui il D. D. T. fu il più efficace. Parallelamente il trattamento dei malati con i derivati del chinino e gli antipaludici di sintesi venivano perfezionati.

Non è inutile ricordare qui che la parola italiana “malaria” (mauvais air) per designare il paludismo fu utilizzata sin dal 1835 da Stendhal nella sua corrispondenza consolare. Non sarà tuttavia ufficialmente introdotto nella nostra lingua che a partire dal 1855, in seguito al Salon del 1850 dove era stato esposto i quadro di Ernest Hébert, cugino di Stendhal, intitolato La Malariae che ebbe un grande successo.

 

Levi--4.jpgLa Malaria, olio di Ernest Hébert del 1850.

 

Ma torniamo a Calo Levi. L’arrivo nel loro villaggio di un confinatoche era un medico giovane e competente fu accolta con gioia ed entusiasmo dai suoi abitanti sino ad allora abbandonati alle cure di praticanti limitati ed incapaci.

 

Levi--Contadina-calabrese--1953.jpgContadina calabrese, 1953.

 

Questi due medicastri erano il dott. Milillo, medico del comune e zio del podestà, e il dott. Gibilisco, di cui Carlo Levi ha lasciato dei ritratti di un’implacabile ed impietosa ironia: “Il primo, dell’età di settanta anni, dà l’impressione di essere un brav’uomo completamente rimbambito”; ha un tempo compiuto i suoi studi a Napoli, ma scrive l’autore, “attraverso il suo balbettio non capisco che un asola cosa: è che della medicina non sa più nulla, se mai ne seppe qualcosa”. E poi giunge questo ammirevole passaggio: “Gli insegnamenti gloriosi della celebre scuola napoletana si sono inariditi nel suo spirito, confusi nella monotonia di una lunga e quotidiana indifferenza. Le briciole di conoscenze perdute galleggiano, senza senso, in un naufragio di noia, su un mare di chinino, unico rimedio a tutti i mali”. Il ritratto del secondo non è affatto più adulatore: “È un uomo anziano, grande, panciuto che gonfia il petto con una barba grigia a punta e dei baffi che cadono su una bocca immensa, piena da scoppiare di denti gialli ed irregolari. L’espressione del suo viso è di diffidenza rancorosa, di continua collera e mal repressa”. Critica i contadini con “l’aria velenosa e collerica di un papa che stigmatizzasse un’eresia”, dicendo: “Non hanno fiducia che nel farmacista. È chiaro, non può aver tutto, ma vi si può supplire. Se la morfina manca, si può impiegare l’apomorfina”. E Carlo Levi aggiunge: “Gibilisco, come Milillo, tiene a mostrare il suo sapere. Ma mi accorgo subito che la sua ignoranza è peggiore di quella del vecchio. Non sa assolutamente nulla e parla a caso”.

Per colmo di sventura, veniamo a sapere che la farmacia del villaggio era gestita in origine da suo fratello, poi, alla morte di quest’ultimo, dalle sue figlie sprovviste di diploma [2].

Levi--Il-figlio-della-Parroccola--1936.jpgCarlo Levi, Il figlio della Parroccola, 1936.

 

Da tutto ciò risulta che i contadini diffidenti rifiutavano di andare dal medico o alla farmacia e, aggiunge Carlo Levi, “la malaria”, giustamente, li uccide”.

Sin dal suo arrivo ad Aliano, fu infatti posto ad affrontare un caso di paludismo pernicioso mortale. Il malato era stato trasportato a dorso d’asino a Stigliano, villaggio situato a 25 chilometri da Aliano per consultare un medico che, considerando il suo caso come disperato, lo aveva rispedito a casa sua a morire.

Il giorno successivo, Carlo Levi fu chiamato a curare i ragazzi del villaggio di cui ci ha lasciato una commovente descrizione: “Erano tutti pallidi, magri, con dei grandi occhi neri e tristi in visi di cera, dei ventri gonfi e tesi come dei tamburi su piccole gambe storte e sottili. La malaria, che non risparmia nessuno qui, si era già installata nei loro corpi sottoalimentati e rachitici [3].

All’inizio del suo soggiorno forzato ad Aliano, Carlo Levi avrebbe voluto evitare di curare gli ammalati, perché non aveva più esercitato da molto tempo, ma davanti alle suppliche degli abitanti, capì che avrebbe saputo resistito.

L’arrivo di sua sorella, anch’essa dottore in medicina, ed il suo breve soggiorno presso di lui furono un palliativo momentaneo alla sua solitudine. Durante il viaggio aveva effettuato una sosta a Matera, il capoluogo della Basilicata, dove aveva constatato la grande miseria fisica di una parte della popolazione (ventimila abitanti) che vivevano nelle grotte insieme ai loro animali (cani, capre, montoni, maiali). I bambini di questi trogloditi soffrivano di tracoma, grave malattia oculare propagata dalle mosche, oltre ad essere decimati dal paludismo. “Incontravo”, dice lei “altri bambini dai piccoli volti pieni di rughe da vegliardi scheletrici ed affamati, la testa piena di croste e di pulci. Ma la maggior parte avevano grossi ventri rigonfi, enormi e poveri visi gialli di malaria”. Questa sosta a Matera le permette di portare delle opere sul paludismo, delle riviste mediche, degli strumenti e delle medicine. L’Italia meridionale era allora ancora in uno stato di sottosviluppo medico notevole, il che è attestato dal fatto che essa non poté trovare a Matera uno stetoscopio, i farmacisti locali ignoravano del tutto questo strumento eppure allora uno strumento corrente.

Durante un soggiorno a Grassano, Carlo Levi rese visita a due dei suoi confratelli, i dottori Zagarella e Garaguso che, secondo le sue stesse parole, “erano una felice eccezione in questi paesi dove quasi tutti i loro colleghi somigliavano più o meno ai due medici da barzelletta di Gagliano”. Essi gli chiesero dei consigli preziosi e gli mostrarono le loro statistiche sul paludismo. Delle misure di risanamento erano state prese in questa località in cui l aforma perniciosa della malattia dovuta a Plasmodium falciparum era quasi del tutto sparita.

A questo proposito, Carlo Levi fa le seguenti considerazioni: “La malaria è qui un flagello ben peggiore di quanto non si immagini. Colpisce tutti e, mal curata, dura tutta la vita. Mette le persone nello stato di non poter più lavorare, indebolisce ed esaurisce la razza… Sfocia nella miseria più nera, nella schiavitù senza speranza. La malattia nasce dalla miseria, dalle argille disboscate, dai fiumi trascurati, da un’agricoltura senza risorse, e a sua volta genera la miseria in un cerchio infernale”.

Ebbe inoltre l’occasione di curare altre malattie oltre al paludismo. Apprendiamo, infatti, che gli abitanti di Aliano fecero ricorso alle sue cure per delle malattie di cuore, una polmonite, un caso di antrace umano (pustula maligna), un altro di dissenteria, una peritonite ahimè fatale. Praticherà anche alcuni piccoli interventi chirurgici.

Evoca anche il folclore medico dei contadini (formule magiche, incantesimi, amuleti) ed i rimedi popolari come quello consistente nel mettere sulla pelle delle monete d’argento per curare l’erisipela.

Quest’aspetto “medico” di questo libro è della più grande importanza, perché se l’autore non fosse stato medico, non sarebbe stato ammesso così facilmente nell’intimità degli abitanti e non si sarebbe legato con essi come lo fece. Ciò spiega anche in parte i sentimenti di compassione e di fratellanza umana che lo animarono. In questo libro ammirevole si evidenzia infatti uno slancio di carità e di altruismo che fu uno delle ragioni del suo successo.

Ma c’è anche e soprattutto il dono dell’osservazione e lo stile inimitabile di Carlo Levi. L’evocazione dei principali personaggi di questo microcosmo è abbagliante di vita e di verità, che si tratti di Don Luigino, il podestà, di Don Trajella, il curato, di Don Cosimino, il postino, o di Giulia, la serva un po’ “strega” di Carlo Levi che gli rifiutò di farsi fare il ritratto per timore di un sortilegio. Ci sono in Cristo si è fermato a Ebolidei veri pezzi da antologia, come le evocazioni della messa di mezzanotte nella chiesa di Aliano o del passaggio nel villaggio del “sana porcelle”, il castratore di scrofe.

Il libro, pubblicati nel 1945, ebbe una grande risonanza e fu presto tradotto in molte lingue. Con il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, costituisce uno dei grandi successi della letteratura italiana successivi all’ultima guerra.

Dopo le opere a sfondo medico come lo sono La peste di Camus o L'ussaro sul tetto di Giono (cronaca del colera in Francia verso il 1835), quello di Carlo Levi è basato su un'altra malattia meno frequentemente evocata nella letteratura: il paludismo. Il che conveniva, mi sembra di ricordarlo un quarto di secolo dopo aver avuto l’onore di incontrarlo questo grande scrittore.

 

Jean Théodorides

 

 

NOTE

 

[1] Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Einaudi, Torino, 1945.

 

[2] Cfr. P. Julien, Pharmacie et Littérature, Revue d’Histore de la Pharmacie, n° 274, 1987, 291-93.

 

[3] Cfr. il proverbio italiano: “Il rimedio del paludismo è nella marmitta”.

 

 Le Christ s'est arrêté à Eboli, de Carlo Levi: une chronique du paludisme et de son traitement dans l'Italie méridionale 

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21 novembre 2010 7 21 /11 /novembre /2010 09:00

La decorazione dei vasi da farmacia italiani

del Rinascimento tratte da incisioni


 

 di Rudolph E. A. Drey

 

 Nel 1913 Bernard Rackham, anziano conservatore della ceramica al Victoria and Albert Museum, a Londra, pubblicava il primo studio sui modelli utilizzati dai pittori di maiolica del Rinascimento per decorare i loro prodotti [1]. Dimostrò che erano soprattutto le incisioni di maestri italiani come Marcantonio Raimondi, Nicoletto da Modena e Gabriele Giolito de Ferrari che servirono da fonte ai vasai italiani per le loro composizioni. La sua opera fu seguita da lavori di altri autori, soprattutto da Bertrand Jestaz [2]. Questi ricercatori mostrarono che i vasai non prendevano a prestito soltanto dalle incisioni di artisti italiani, ma attingevano  anche tra i disegni, medaglie e soprattutto tra le stampe di artisti tedeschi e francesi come Albrecht Dürer, Martin Schongauer, Barthel Beham, Hans Holbein il Giovane e Bernard Salomon. Essi stabilirono anche che le incisioni erano copiate con una fedeltà soggetta a delle variazioni considerevoli.

 

 Sino al 1979 questi studi verterono unicamente sulle maioliche strumentali; è soltanto molto di recente che degli autori hanno trattato dei modelli incisi utilizzati dai pittori di vasi di farmacia per la decorazione di quest’ultimi. Poiché le loro opere non sono sempre a disposizione di coloro che si interessano alla ceramica farmaceutica, ci è sembrato utile dedicare una nota ai vasi di officina italiani del Rinascimento la cui fonte decorativa è stata identificata. Tutti i vasi che citeremo sono dipinti in policromia. 

 

 

 

Vasi--01-copia-1.jpg

Figura 1, Albarello, Deruta, 1507

Altezza 21 cm, L’Aja, Gemeemtemuseum

 

 

I più antichi, la cui fonte sia stata identificata, sono due albarelli recanti sul rovescio la data 1507. Questa coppia uscita da un forno di Deruta (Umbria) faceva senz’altro parte di una serie abbastanza grande di recipienti. I motivi ornamentali sono tratti dalle carte dei tarocchi “Tarocchi del Mantegna”, della serie “Pianeti e Sfere”, che furono incise su legno da un artista del nord Italia [3]. La decorazione del primo albarello- un cupido armato di arco e frecce [4] deriva da una carta di tarocco con l’iscrizione VENUS XXXXIII e rappresenta Eros, anch’egli armato di arco e frecce [5]. Il soggetto del secondo albarello- il carro del sole (figura 1)- è preso da una carta di tarocco con l’iscrizione SOL XXXXIIII e rappresenta il carro del sole e la caduta di Fetonte (figura 2). 

 

vasi--02.jpg

Figura 2. Il Carro del Sole e la caduta di Fetonte

Carta di Tarocco, nord Italia, 1465 circa

Incisione su legno, 17,3x9,3. Londra, British Museum

 

 

 Su un vaso piriforme a due anse, opera di un laboratorio di Cafaggiolo, in Toscana, verso il 1545-1550, gli elementi decorativi, che comprendono una corazza, un casco e delle teste grottesche, provengono sia da un’incisione di Agostino Veneziano (1490-1536), sia di un’incisione di Enea Vico (1523-1567).

 

 Ad una data più tardiva, verso il 1560, la manifattura di Orazio Fontana, ad Urbino, produceva un grande servizio di 350 recipienti di forme diverse: vasi su piedistallo con un paio di mascheroni in rilievo sormontati da anse ricurve, vasi piriformi con due anse a forma di serpente erette su dei mascheroni, vasi a collo (orci) e albarelli [9]. O soggetti comprendono episodi tratti dall’antico e Nuovo Testamento, dalla storia di Roma, dalla mitologia, dalle Metamorfosi di Ovidio e da altre fonti ancora. Benché i vasi da farmacia del gruppo siano sprovvisti dai nomi delle droghe, la tradizione vuole che essi siano richiesti ad Orazio Fontana dal duca di Urbino Guidobaldo II della Rovere (1538-1574) per l’officina del proprio palazzo.

 

 

 

  vasi--04.jpgFigura 3. Vaso a due anse. Urbino (Orazio Fontana), 1560 circa.

Altezza 21 cm. Loreto, Santa Casa.

 

 

L’insieme fu dato dal suo successore, Francesco Maria II della Rovere (1574-1626), alla Santa Casa di Loreto dove è ancora conservato [10] Di una bellezza particolare per l’eleganza delle loro forme e la perfezione della decorazione sono i vasi ad anse ricurve (figura 3), che sono in numero di 90. I soggetti di quest’ultimo gruppo sono tratti dalla Bibbia e rendono con esattezza le stampe incise sul legno da Hans Sebald Beham (1500-1550) per le otto edizioni di Biblisch Historien edite da Christian Egenolph a Francoforte-sul-Meno, tra il 1533 ed il 1557 (figura 4) [11].

 

 

 

 

  vasi--03.jpg

Figura 4. Il peccato originale, di Hans Sebald Beham

Incisione su legno, 5,1x7,1 cm. Londra, British Museum.

 

 

 

 Faenza, grande centro della maiolica italiana, fu una fonte importante di recipienti per l’attrezzatura degli apotecari d’Italia. Verso il 1569, un vasaio di nome Emiliano Capra [12] produsse una serie di vasi piriformi decorati di scene della Passione. Il luogo di manifattura della serie e la sua data sono stabilite su un vaso recante sul davanti la data 1569 (figura 5) e sul rovescio l’iscrizione IN FAENCIA. I soggetti della decorazione sono adattati in modo molto libero da incisioni su legno di Bernard Salomon (1506-1561) che illustrarono numerose edizioni di piccole bibbie pubblicate in diverse lingue tra 1553 e 1577 da Jean de Tournes, a Lione [13], (figura 6).

 

 

 

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Figura 5. Vaso piriforme, Faenza, 1569

Altezza 41,5. Sèvres, Museo Nazionale della Ceramica.

 

Sui vasi della serie attualmente conosciuti figurano il bacio di Giuda, L’arresto di Cristo, il Cristo davanti a Ponzio Pilato (figura 5), il Cristo beffeggiato e Gesù al Calvario [14].

 

L’esecuzione sui vasi dei soggetti della Passione denota una certa mancanza di raffinatezza. Il fatto si spiega con un’osservazione  di Jestaz: “Sin dalla metà del XVI secolo… la produzione corrente abbandonò… le belle stampe della scuola di Raffaello, ma fu per seguire dei modelli a più buon mercato che trovò soprattutto nelle illustrazioni delle edizioni di Lione: l’uso delle edizioni di Lione non fu senza conseguenze nella decadenza della maiolica istoriata” [15].

 

 Senza alcun dubbio esistono altri vasi di officina del Rinascimento o di un’epoca più tarda la cui fonte di decorazione rimane da identificare. Per il periodo successivo al Rinascimento possiamo segnalare un recipiente  dell’inizio del XVII secolo in cui figurano Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso Terrestre: questo soggetto è tratto in parte da un incisione di Hans Holbein il Giovane nelle Historiarum Veteris Instrumenti Icones pubblicate a Lione nel 1538.

 

 

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Figura 6. Il Cristo davanti Pilato, di Bernard Salomon.

Incisione su legno, in Historiarum memorabilium ex Genesi descriptio.

Lione, 1558. 5,9x4,6 cm. Londra, British Museum. 

 

 

 

 

NOTE


[1] B. Rackham, The sources of design in Italian maiolica, in The Burlington Magazine, XXIII, 1913, p. 193-203.

 

[2] B. Jestaz, Le s modale de la majolique historiée. Bilan d’une enquête, in Gazette des Beaux-Arts, LXXIX, 1972, p. 215-240.

 

[3] Le carte do tarocco servivano anche da fonte per la decorazione di maioliche non farmaceutiche. Vedere, ad esempio, la carta di tarocco rappresentante un re seduto su un trono e reggente uno scettro che fu copiato in modo libero su un piatto di Faenza (Wendy M. Watson, Italian Renaissance Maiolica from the William A. Clarck Collection, London 1986, p. 32-33).

 

[4] Carmen Ravanelli Guidotti, Donazione Paolo Mereghi, eramiche Europee ed Orientali, Casalecchio di Reno (Bologna), 1987, p. 29 e 135.

 

[5] Ravanelli Guidotti, op. cit., p. 136, fig. 23C.

 

[6] Grazia Biscontini Ugolini e Jacqueline Petruzzellis Scherer, Maiolica e Incisione, Tre Secoli di Rapporti Iconografici, Vicenza, 1992, p. 33. Questo pezzo è menzionato anche nella recensione di Alain Touwaide dell’opera di Biscontini Ugolini e Petruzzellis Scherer in Revue d’Histoire de la Pharmacie, n° 295, 4° trimeste 1992, p. 514-515.

 

[7] Biscontini Ugolini e Petruzzellis Scherer, op. cit., p. 32, fig. 1a.

 

[8] Biscontini Ugolini e Petruzzellis Scherer, op. cit., p. 32, fig. 1b.

 

[9] Floriano Grimaldi, Loreto, Palazzo Apostolico, Bologna, 1977, p. 65-103.

 

[10] JeanneGiacomotti, Catalogo delle Maioliche dei Musei Nazionali, Parigi, 1974, p. 322; Floriano Grimaldi e Dante Bernini, Le Ceramiche da Farmacia della Santa Casa di Loreto, Pomezia, 1979, p. 10-12.

 

[11] Grimaldi e Bernini, op. cit., p. 30, 33, 35, 37, 38 e tav. da I a XXI.

 

[12] Anna Rosa Gentilini e Carmen Ravanelli Guidotti, Libri a Stampa e Maioliche Istoriate del XVI secolo, Faenza, 1989, p. 33 e 40.

 

[13] Alfred Cartier, Bibliographie des éditions des de Tournes, imprimeurs Lyonnais, Parigi, 1937, 2 voll.

 

[14] Gentilini e Ravanelli Guidotti, op. cit., p.34-40.

 

[15] Jestaz, op. cit., p. 237.

 

[16] Giacomotti, op. cit., n° 1196.

 

 

 

 

LINK al saggio originale:
La décoration de vases de pharmacie italiens de la Renaissance d'aprés des gravures   

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17 novembre 2010 3 17 /11 /novembre /2010 19:05

 

 

 

 

 

 

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L'elegante etichetta della Limonata Magnesiaca Rogé, praparata a Lucca.

Inizi XX secolo

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